Domenica 6 febbraio la Chiesa celebra la Giornata della Vita e vi offriamo qui qualche spunto del Messaggio della Cei.

“La pandemia ha messo in luce numerose fragilità a livello personale, comunitario e sociale. (…) emerge però con rinnovata consapevolezza l’evidenza che la vita ha bisogno di essere custodita.

(…) nessuno può bastare a sé stesso. (…) Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione.

Il nostro pensiero va innanzitutto alle nuove generazioni e agli anziani. Le prime hanno subito importanti contraccolpi psicologici, con l’aumento esponenziale di diversi disturbi della crescita; molti adolescenti e giovani non riescono tuttora a guardare con fiducia al proprio futuro. Anche le giovani famiglie hanno avuto ripercussioni negative dalla crisi pandemica. Tra le persone anziane, non poche si trovano ancora oggi in una condizione di solitudine e paura, faticando a ritrovare motivazioni ed energie per uscire di casa.

(…) Dinanzi a tale situazione, Papa Francesco ci ha offerto San Giuseppe come modello di coloro che si impegnano nel custodire la vita: “Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà” (Patris Corde). Nelle diverse circostanze della sua vicenda familiare, egli costantemente e in molti modi si prende cura delle persone che ha intorno, in obbedienza al volere di Dio. Pur rimanendo nell’ombra, svolge un’azione decisiva nella storia della salvezza, tanto da essere invocato come custode e patrono della Chiesa.

(…) La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia. Come comunità cristiana facciamo continuamente l’esperienza che quando una persona è accolta, accompagnata, sostenuta, incoraggiata, ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio e speranza.

Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato (…). È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene” (Papa Francesco, Omelia, 19 marzo 2013).

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Domenica 30 gennaio celebriamo la Festa della Famiglia. Lo scorso 26 dicembre il Papa ha regalato a tutti noi per la prima volta una Lettera agli sposi: un dono prezioso e un incoraggiamento che giunge in un momento difficile per le famiglie di tutto il mondo a causa del perdurare della pandemia. La Lettera spinge a vivere intensamente la vocazione al matrimonio. La famiglia che ne scaturisce è una ricchezza e un dono per la società e per la Chiesa. Qui alcuni stralci:

Abbiamo vissuto l’incertezza, la solitudine, la perdita di persone care e siamo stati spinti a uscire dalle nostre sicurezze. (…). La relazione con Dio ci plasma, ci accompagna e ci mette in movimento come persone e ci aiuta a uscire dalla nostra terra, in molti casi con un certo timore e persino con la paura dell’ignoto, ma grazia alla nostra fede cristiana, sappiamo che non siamo soli perché Dio è in noi, con noi e in mezzo a noi.
(…)

Come Abramo, ciascuno degli sposi esce dalla propria terra fin dal momento in cui, sentendo la chiamata all’amore coniugale, decide di donarsi all’altro senza riserve.

Così, già il fidanzamento implica l’uscire dalla propria terra, poiché richiede di percorrere insieme la strada che conduce al matrimonio. Le diverse situazioni della vita – il passare dei giorni, l’arrivo dei figli, il lavoro, le malattie – sono circostanze nelle quali l’impegno assunto vicendevolmente suppone che ciascuno abbandoni le proprie inerzie, le proprie certezze, gli spazi di tranquillità e vada verso la terra che Dio promette: essere due in Cristo, due in uno.

Un’unica vita, un noi nella comunione d’amore con Gesù, vivo è presente in ogni momento della vostra esistenza. Dio vi accompagna, vi ama incondizionatamente.

Non siete soli!

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Tante e bellissime le catechesi del Papa sulla figura di San Giuseppe. Qui alcuni stralci dall’udienza generale di mercoledì 1º dicembre, che ci aiuta in questo ultimo tratto verso il Natale.

“Pensate a questa storia narrata dal Vangelo. Maria e Giuseppe sono due fidanzati che probabilmente hanno coltivato sogni e aspettative rispetto alla loro vita e al loro futuro. Dio sembra inserirsi come un imprevisto nella loro vicenda e, seppure con una iniziale fatica, entrambi spalancano il cuore alla realtà che si pone loro innanzi.

Spesso la nostra vita non è come ce la immaginiamo. Sopratutto nei rapporti di amore, di affetto, facciamo fatica a passare dalla logica dell’innamoramento a quella dell’amore maturo.

(…) Amare non è pretendere che l’altro o la vita corrisponda alla nostra immaginazione; significa piuttosto scegliere in piena libertà di prendersi la responsabilità della vita così come ci si offre.

Giuseppe ci dà una lezione importante, sceglie Maria “a occhi aperti”. E con tutti i rischi.

I fidanzati cristiani sono chiamati a testimoniare un amore così, che abbia il coraggio di passare dalle logiche dell’innamoramento a quelle dell’amore maturo. Questo, invece di imprigionare la vita, può fortificare l’amore perché sia durevole di fronte alle prove del tempo.

San Giuseppe, tu che hai scelto di rinunciare al tuo immaginario per fare spazio alla realtà, aiutaci a lasciarci sorprendere da Dio e ad accogliere la vita non come un imprevisto da cui difendersi, ma come un mistero che nasconde il segreto della vera gioia.

Continua a leggereSan Giuseppe ci insegna l’amore vero

Oggi, 8 dicembre 2021, termina l’anno che il Papa ha voluto dedicare a San Giuseppe, quale figura a cui tutta la Chiesa deve guardare. Proprio stasera alle 18.00 ci ritroviamo nella Chiesa di San Giuseppe al Matteotti per una preghiera a chiusura di questo anno.

Qui alcuni stralci dell’ultima catechesi che il Papa ha tenuto – lo scorso 24 novembre – su San Giuseppe:

“La figura di Giuseppe, non padre biologico, ma comunque padre di Gesù a pieno titolo, nonostante sia figura marginale discreta, in seconda linea, rappresenta un tassello centrale nella storia della salvezza. Se ci pensiamo anche le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono in giornali e riviste. Padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini con gesti piccoli, come affrontare una crisi, alzando gli sguardi, stimolando la preghiera.

Tutti possono trovare in san Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, della presenza discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno, una guida nei momenti di difficoltà.

Egli ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. Il mondo ha bisogno di questi uomini e di queste donne.

Nel Vangelo, Giuseppe appare come il custode di Gesù e di Maria. E per questo egli è anche il Custode della Chiesa. Questo aspetto della custodia è la grande risposta al racconto della Genesi. Quando Dio chiede conto a Caino della vita di Abele, egli risponde Son forse io il custode di mio fratello?.

Giuseppe, con la sua vita, sembra volerci dire che siamo chiamati a sentirci custodi dei nostri fratelli , custodi di chi ci è messo accanto, di chi il Signore ci affida attraverso tante circostanze della vita.

Una società come la nostra che è stata definita liquida, dirò più che liquida, gassosa, ecco questa società trova nella storia di Giuseppe un’indicazione ben precisa sull’importanza dei legami umani.

Quando il Vangelo ci racconta la genealogia di Gesù, oltre che per una ragione teologica, lo fa peer ricordare a ognuno di noi che la nostra vita è fatta di legami che ci precedono e ci accompagnano.

Il Figlio di Dio, per venire al mondo, ha scelto la via dei legami; non è sceso magicamente. Ha fatto la strada storica che facciamo tutti noi.

Continua a leggereSan Giuseppe, vero custode del fratello

Domenica 24 ottobre, che per Saronno vuol dire anche Festa del Trasporto, la Chiesa ricorda la Giornata Missionaria Mondiale. Ecco alcuni stralci del messaggio di Papa Francesco per questa Giornata.

“Cari fratelli e sorelle, quando sperimentiamo la forza dell’amore di Dio (…) non possiamo fare a meno di annunciare e condividere ciò che abbiamo visto e ascoltato. (…)

La storia comincia con il Signore che chiama e vuole stabilire con ogni persona, lì dove si trova, un dialogo di amicizia. (…)

L’amicizia con il Signore lascia un’impronta indelebile, capace di suscitare stupore e una gioia espansiva e gratuita che non si può contenere. L’amore si mette in movimento (…) a partire da uomini e donne che imparano a farsi carico della fragilità propria e degli altri.

(…) La Comunità ecclesiale mostra la sua bellezza ogni volta che ricorda con gratitudine che il Signore ci ha amati per primo.

(…) L’attuale momento storico non è facile. La pandemia ha evidenziato e amplificato il dolore, la solitudine, la povertà, le ingiustizie (…) ha smascherato le nostre false sicurezze. (…)

E’ urgente che “quello che abbiamo visto e ascoltato”, la misericordia che ci è stata usata, si trasformi (…) in passione condivisa per creare una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni. (…)

La nostra vita di fede si indebolisce e perde profezia nell’isolamento personale o chiudendosi in piccoli gruppi; per sua stessa dinamica esige di raggiungere e abbracciare tutti.

Continua a leggere“Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato (At 4,20)

Ricomincia il catechismo anche nelle nostra comunità. Che bella l’attenzione che Papa Francesco ha dedicato al servizio dei catechisti, tanto da istituirne il ministero!

Prima infatti dei contenuti da trasmettere, c’è la relazione tra il catechista e i ragazzi e c’è la persona del catechista che testimonia e trasmette anzitutto sé e la sua fede.

Il Papa dice: “Il catechista è un memorioso di Dio, della sua Parola, del suo amore, una persona immersa nella realtà e capace di ascoltare le domande degli uomini e delle donne e di parlare loro nel dialetto della prossimità.
Un testimone della fede in Gesù, capace di attrarre altri alla bellezza della vita cristiana.”

Questo è l’augurio che facciamo a tutti i nostri catechisti che si apprestano a riprendere in presenza il cammino con i ragazzi: che siano belli, gioiosi, contagiosi nella fede!

Continua a leggereCatechisti e memoria di Dio

Venerdì 19 marzo nel Quaresimale delle 20.30 abbiamo incontrato don Steven Azabo, in collegamento da Roma, dove sta completando gli studi universitari. Don Steven è un parroco dell’Iraq, la terra dove – proprio a inizio marzo – si è recato Papa Francesco.

Toccante la sua testimonianza; dal 2003 i cristiani in Iraq subiscono persecuzioni e più di 60 sono stati gli attentati a chiese cattoliche. Proprio nella terra dove si identifica di solito l’antica Mesopotamia, la terra di Abramo, la culla della civiltà, il “dove” da cui prese avvio l’identità umana.

Eppure, nonostante il sangue dei cristiani caduti sia più grande del petrolio che si trova in quella terra, ricorda don Steven, la fede viene fuori più limpida, luminosa, forse oserei dire più vera.

“Ci hanno tolto tutto, ma abbiamo capito che possiamo lasciare tutto; basta scegliere il più necessario per la vita”. Queste le parole di don Steven.

E allora l’augurio non è solo quello di tornare alla propria terra, ma di far proprie le parole che ha pronunciato Papa Francesco in questo suo viaggio, nella tappa alla piana di Ur dei Caldei: ” Come Abramo, bisogna alzare lo sguardo e guardare le stelle, per realizzare il sogno di un pianeta dove non trovi più spazio l’odio.”

Per chi vuole riascoltare l’intervento di don Steven, può cliccare qui.

Continua a leggere19 marzo: ancora martiri cristiani oggi

Il 1º settembre di ogni anno Papa Francesco, in coerente logica con l’enciclica “Laudato sì” ha indetto la Giornata per la custodia del creato.

È significativo già riflettere sul nome: non è la giornata della terra, ma la giornata “per la custodia del creato” ed è fondamentale questa parola “custodia”.

Nella Genesi Dio pone l’uomo nel Giardino perché egli possa “coltivare e custodire” e, subito, segue la proibizione di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, pena la morte certa.

È come se il Creatore avesse detto all’uomo: “nel tuo coltivare e custodire, quindi del tuo libero contribuire alla creazione, ricordati che non sei un tutto, ricordati non solo di coltivare, ma anche di custodire, e ciò che si custodisce è sempre e soltanto l’altro, ciò che tu non sei; se non farai così, allora la tua azione sarà niente, sarà la distruzione.”

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Noi abbiamo tanti modi di consolare, da più autentici e vicini, a quelli più formali, come quei telegrammi “Profondamente addolorato…”, che è una finta, non consola nessuno.

Qual è la vera consolazione del Signore?
Egli consola nella vicinanza, nella verità e nella speranza.

Nella vicinanza: mai distanti, “ci sono, sono qui, con te.” Spesso in silenzio; la forza della presenza.

Nella verità: il Signore non ci dice “stai tranquillo, passerà tutto, le cose passano…” ma dice la verità. La dice semplicemente, con mitezza. “È un momento brutto …ma non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in me.”

Nella speranza: “abbiate fede. Vado a prepararvi un posto. Poi verrò di nuovo e vi prenderò con me. Per mano vi porterò dove sono io.”

La consolazione del Signore non è anestesia; è vicina, veritiera e ci apre alla speranza.

(dall’omelia di Papa Francesco, Casa S.Marta, 8 maggio 2020)

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Lo sfondo in cui ci muoviamo lo descrive bene Papa Francesco: “Il coraggio della libertà che oggi è chiesto a tutti è quello di continuare a occupare il proprio posto nel grande disegno della storia, di resistere alle sirene che vorrebbero farci scappare, pensare a noi stessi, fuggire.

Rimangono i medici accanto ai loro pazienti, rimangono gli infermieri, rimangono i responsabili della cosa pubblica, rimangono le persone chiamate a lavorare, rimangono gli insegnanti, rimangono i preti, rimangono tutti coloro che sono chiamati a restare nelle loro case: restare è il gesto più potente che possa compiere l’uomo nella vita.

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