Tante e bellissime le catechesi del Papa sulla figura di San Giuseppe. Qui alcuni stralci dall’udienza generale di mercoledì 1º dicembre, che ci aiuta in questo ultimo tratto verso il Natale.

“Pensate a questa storia narrata dal Vangelo. Maria e Giuseppe sono due fidanzati che probabilmente hanno coltivato sogni e aspettative rispetto alla loro vita e al loro futuro. Dio sembra inserirsi come un imprevisto nella loro vicenda e, seppure con una iniziale fatica, entrambi spalancano il cuore alla realtà che si pone loro innanzi.

Spesso la nostra vita non è come ce la immaginiamo. Sopratutto nei rapporti di amore, di affetto, facciamo fatica a passare dalla logica dell’innamoramento a quella dell’amore maturo.

(…) Amare non è pretendere che l’altro o la vita corrisponda alla nostra immaginazione; significa piuttosto scegliere in piena libertà di prendersi la responsabilità della vita così come ci si offre.

Giuseppe ci dà una lezione importante, sceglie Maria “a occhi aperti”. E con tutti i rischi.

I fidanzati cristiani sono chiamati a testimoniare un amore così, che abbia il coraggio di passare dalle logiche dell’innamoramento a quelle dell’amore maturo. Questo, invece di imprigionare la vita, può fortificare l’amore perché sia durevole di fronte alle prove del tempo.

San Giuseppe, tu che hai scelto di rinunciare al tuo immaginario per fare spazio alla realtà, aiutaci a lasciarci sorprendere da Dio e ad accogliere la vita non come un imprevisto da cui difendersi, ma come un mistero che nasconde il segreto della vera gioia.

Continua a leggereSan Giuseppe ci insegna l’amore vero

Oggi, 8 dicembre 2021, termina l’anno che il Papa ha voluto dedicare a San Giuseppe, quale figura a cui tutta la Chiesa deve guardare. Proprio stasera alle 18.00 ci ritroviamo nella Chiesa di San Giuseppe al Matteotti per una preghiera a chiusura di questo anno.

Qui alcuni stralci dell’ultima catechesi che il Papa ha tenuto – lo scorso 24 novembre – su San Giuseppe:

“La figura di Giuseppe, non padre biologico, ma comunque padre di Gesù a pieno titolo, nonostante sia figura marginale discreta, in seconda linea, rappresenta un tassello centrale nella storia della salvezza. Se ci pensiamo anche le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono in giornali e riviste. Padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini con gesti piccoli, come affrontare una crisi, alzando gli sguardi, stimolando la preghiera.

Tutti possono trovare in san Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, della presenza discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno, una guida nei momenti di difficoltà.

Egli ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in seconda linea hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. Il mondo ha bisogno di questi uomini e di queste donne.

Nel Vangelo, Giuseppe appare come il custode di Gesù e di Maria. E per questo egli è anche il Custode della Chiesa. Questo aspetto della custodia è la grande risposta al racconto della Genesi. Quando Dio chiede conto a Caino della vita di Abele, egli risponde Son forse io il custode di mio fratello?.

Giuseppe, con la sua vita, sembra volerci dire che siamo chiamati a sentirci custodi dei nostri fratelli , custodi di chi ci è messo accanto, di chi il Signore ci affida attraverso tante circostanze della vita.

Una società come la nostra che è stata definita liquida, dirò più che liquida, gassosa, ecco questa società trova nella storia di Giuseppe un’indicazione ben precisa sull’importanza dei legami umani.

Quando il Vangelo ci racconta la genealogia di Gesù, oltre che per una ragione teologica, lo fa peer ricordare a ognuno di noi che la nostra vita è fatta di legami che ci precedono e ci accompagnano.

Il Figlio di Dio, per venire al mondo, ha scelto la via dei legami; non è sceso magicamente. Ha fatto la strada storica che facciamo tutti noi.

Continua a leggereSan Giuseppe, vero custode del fratello

Questo il titolo, tratto dal libro di Neemia (3, 38) che i vescovi italiani hanno scelto per il 1º Maggio, Festa del Lavoro.

Nel libro di Neemia si racconta l’impegno del popolo d’Israele per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme; popolo unito e caparbio nel voler terminare l’opera. Si sottolinea l’impegno di chi ce la mette tutta per far nascere qualcosa di nuovo.

I vescovi, nel messaggio, ci dicono che questo è segno di un lavoro generativo, che chiede responsabilità e capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro nel segno di una vita segnata dall’amore.

A chi si mette in questa dinamica è chiesto di abitare la tensione tra la paura di perdere quello che si era o si deteneva e l’impegno verso nuovi stili di vita.

Chi ha incontrato Gesù lo sperimenta; il Signore è capace di tirare fuori dalla nostra vita “cose nuove e cose antiche”.

“È innegabile che la terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico, aggravando le disuguaglianze esistenti e creando nuove povertà.(…)

È fondamentale che tutte le reti di protezione siano attivate. Il vaccino sociale della pandemia è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi. (…) abbiamo sperimentato che siamo tutti legati e interdipendenti, chiamati a impegnarci per il bene comune, che è legato con la salvezza, con il nostro stesso destino personale.

(…) Una bussola per camminare è la Fratelli Tutti.

Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze.

Continua a leggereE al popolo stava a cuore il lavoro