Ecco il messaggio per il S.Natale firmato dal nostro arcivescovo, che la Diocesi ci chiede di diffondere.

Nel mio presepe quest’anno non ho costruito colline né disegnato cieli stellati, non ho messo statuine d’arte né meccanismi portentosi che muovono braccia di fabbri, accendono luci, trascinano pecore verso la grotta di Betlemme.

Quest’anno il mio presepe è fatto di musica e parola, è un presepe di cantici.

Se potete fare silenzio e vi ponete in ascolto, riuscirete forse a sentire anche a casa vostra il cantico dei pastori del mio presepe.

Il cantico dei pastori è testimonianza. Non abbiamo meriti, non abbiamo sapienza, non abbiamo mandato.

Abbiamo visto e rendiamo testimonianza.

Siamo stati disturbati nella notte e invitati a partire: ma vi diciamo che ne valeva la pena.

L’umiltà del Bambino incoraggia anche noi che non valiamo niente e non godiamo di nessun prestigio a dire una parola, a contagiare con la gioia, a invitare al cammino. Siamo testimoni: non attiriamo l’attenzione su noi stessi, ma siamo lieti che anche voi andiate fin là, dove c’è il motivo della nostra letizia.

Siamo testimoni: dobbiamo dire semplicemente quello che abbiamo visto e nessun complicato ragionamento, nessun disprezzo che ci mette in ridicolo, nessuna minaccia che ci vuole zittire, nulla può convincerci a tacere quello che ci è stato donato. Siamo stati amati. Proprio noi, povera gente da nulla, siamo stati amati e quel bambino ci ha resi capaci di amare. Di questo diamo testimonianza.

I pastori sono testimoni e il loro cantico condivide la sorpresa, l’esperienza e il suo frutto.

mons. Mario Delpini, Arcivescovo di Milano

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Padre Ibrahim, in un passaggio del suo racconto su Aleppo e su quanto   la Chiesa sta facendo, quasi senza sottolinearlo troppo:

“È sempre un Altro che guida la storia, al massimo si serve della mia disponibilità.”

Solo se si comprende questo, è possibile restare in una terra così martoriata, dalla vita resa difficile da tutto, a cominciare dalla mancanza di acqua ed elettricità.

Padre Ibrahim e i suoi confratelli sono là, concreto esempio della Chiesa in uscita di Papa Francesco, non perché eroi, votati al sacrificio.

Sono là, volto della Chiesa che – madre – protegge i suoi figli, perché certi che Dio è con loro. Essi devono (solo!) dire di sì e lasciare che la loro vita sia trasformata, lavorata, dall’incontro con quella gente.

Abbiamo bisogno di loro, del povero, perché, prima dell’aiuto che possiamo loro dare, esso aiuta noi, ci aiuta a crescere in umanità.”

Ecco la posta in gioco.

Che va oltre lo stile di Francesco e di un carisma che è in quella terra da 800 anni e che li richiama certo a un ‘di piu’ di responsabilità.

Come nella parabola dei talenti, ognuno di noi è talento di Dio per gli altri. L’altro che è compagno, amico, collega, ecc. Possiamo dirci l’un l’altro: sei tu il mio talento! E scommetterci.

Se siamo guardati con amore, diventiamo capaci di amore. Da qui fiorisce la vita.

Padre Ibrahim si è fidato della promessa di Dio e ha sperimentato l’addizione che Lui permette: l’oratorio feriale per i ragazzi, e i numeri che crescono in modo esponenziale; la cura degli sposi, l’attenzione per i fidanzati, l’impegno per la ricostruzione materiale delle case…

(Padre Ibrahim Alsabagh, francescano e parroco della Cattedrale Latina di Aleppo ha tenuto una testimonianza a Saronno, presso Casa di Marta, in via Piave, lunedì 20 novembre 2017)

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“Gente su cui far conto”. Così risponde l’arcivescovo Delpini, nel messaggio fatto avere a don Armando, alla domanda-titolo del convegno di sabato scorso, “Come essere una Chiesa bella?”.

Delpini insiste su questa espressione: “gente su cui si può contare. Gente che ha il coraggio della testimonianza.”

UN COME ESSERE

Ecco ciò che i cristiani di Saronno devono essere. Testimoni.

Uomini educati al pensiero di Cristo (come ci aveva potentemente richiamati il cardinal Scola.

Uomini che riconoscono nella persona di Gesù il criterio per guardare, leggere, abbracciare tutta la realtà, in uno spirito di comunione con i fratelli.

UN DOVE

La comunità come luogo ideale dove ciascuno impara ad amare.

L’appartenenza alla comunità è la condizione che Cristo spesso sceglie per incontrare l’uomo. Credo che per molti di noi sia stato così.

È la logica di un uomo “in relazione”. La Bibbia descrive tantissime storie di relazioni. Non tutte riuscite. Le relazioni vanno educate. È un percorso.

UN COMPITO

Nella sua prima lettera pastorale, larcivescovo, richiamando l’Apocalisse, con l’immagine della città santa, scrive: “La vita cristiana non è un percorso solitario, non l’iniziativa personale, ma il convergere nella città. L’edificazione della città è l’opera di Dio che convoca tutti e accoglie ciascuno”.

E traduce molto bene anche il termine sinodalità, tornato più volte nel corso del convegno.

“La sinodalità è opera dello Spirito che dei molti fa una cosa sola.”

(riflessioni maturate a margine del convegno di sabato da parte di una partecipante)

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