Continuiamo il percorso alla scoperta dei temi della mostra che si terrà a Casa di Marta dal 30 maggio al 9 giugno.

Ripartiamo dalla domanda “chi mette al mondo le gocce di rugiada ?”

Se guardiamo la realtà, non possiamo fermarci a registrare il dato e basta. Il mare, le montagne, tutta la bellezza che c’è intorno a noi ci provoca un senso di meraviglia, di stupore.

Ma la realtà innanzitutto tutto è un dato, anche se non si ferma al dato. Dato è participio passato di dare, un verbo implica che ci sia un datore. La stessa radice anche di donum, dono. E quando qualcuno ci fa un dono, lo abbiamo appreso fin da piccoli, si dice grazie!

Dio, Padre paziente, fa così con noi.

Perché dietro a questa realtà anche così bella, c’è qualcosa o Qualcuno di permanente.

Non bisogna avere paura. Bisogna andare più in là. Vedremo compiersi il miracolo.

Quello vero. Quello di Dio che ci aspetta.

Umili, piccoli, semplici. Senza presunzione. In ascolto del Mistero. Aperti all’imprevisto.

Mettere le ali e cercare le stelle. L’infinito.

E poi cercare la bellezza di quaggiù, starci, cercare anche con sacrificio.

Chi è superficiale nell’affronto del reale e nei rapporti, non potrà fare questa esperienza.

Andate a visitare la mostra. Sarà un aiuto per riconquistare la freschezza imponente della domanda, della ricerca, un aiuto ad affrontare il reale.


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Il prossimo 30 maggio si inaugura a Casa di Marta la mostra “Giobbe, l’enigma della sofferenza”, che conclude i “Cammini di carità” proposti nei giovedì di maggio.

Anticipiamo alcuni temi della mostra: una sorta di introduzione a chi andrà a vederla.

Si parte dal libro di Giobbe, libro che pone il dolore, il dolore dell’uomo, come problema. Soprattutto per i cattolici, per noi.

I cristiani, fiduciosi e convinti che la realtà sia in ultima analisi giusta e buona, si domandano “perché si soffre? Perché il dolore ?”

E quando si tocca il fondo della disperazione, si finisce per volgersi verso e contro Dio. Tutti i grandi scrittori e filosofi si sono posti il problema. A volte facciamo come Camus “non potrò mai credere in Dio finché vedrò un bambino morire così.”

Perché le sofferenze dei piccoli, degli innocenti sono quelle che sentiamo come più ingiuste.

Si protesta, si grida a tal punto che l’eco giunga ai cieli.

L’uomo vuole una spiegazione. Altrimenti cade nell’ateismo o riduce il cristianesimo ad una sorta di dottrina della retribuzione, di un Dio che punisce. Meglio un Dio crudele che un Dio indifferente.

L’uomo cerca un perché. È la potenza della sua ragione che lo spinge. Cerca il perché delle cose.

Se pensiamo alle grandi tragedie della storia, una per tutti l’olocausto, ritorna ancora e sempre la domanda “dov’eri tu, Dio?”.

“Benedetto il Signore nei secoli…”

Perché benedirlo? Ecco allora un’intuizione, già di Voltaire:

“Ci occorre un Dio che parli all’uomo”

Ma subito un’altra domanda incalza “chi mette al mondo le gocce di rugiada ?”

(il resto nella prossima puntata)

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