La meta finale della vita decide tutto il resto. Il giorno che la Chiesa dedica in modo particolare al ricordo dei nostri defunti è occasione per meditare sulla meta e su quello che veramente conta nella nostra vita.

Una cosa sola va oltre la morte: l’amore! Questo resetta tutti i nostri atti.

Nulla può sostituire l’assenza di una persona cara. Non c’è niente da fare.

“Falso dire che Dio riempie il vuoto. Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene aperto, aiutandoci a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore. Ma i bei tempi passati e la gratitudine si portano con sé non come una spina, ma come un dono prezioso.

Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli.” Così scriveva il teologo tedesco Bonhoeffer.

È l’amore che ci riconnette, ai nostri cari e a Dio.

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Abbiamo la vocazione all’amore. Noi ci siamo per amare, amare Dio e il prossimo.

Chi vuole indovinare il senso dell’esistenza deve fermarsi a questa semplice frase.

L’amore realizza pienamente la nostra esistenza ed è la cosa bella che ci può accadere.

I Santi hanno scelto l’amore, uscendo dalla propria solitudine.

Come dice don Fabio Rosini, “Santità e amore coincidono. La santità non è un prodotto di sacrestia, ma è l’amore che speriamo di incontrare nella vita. Ciò cui vale la pena obbedire.”

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La tenerezza è la forza dell’amore umile”, diceva il grande Dostoevskij.

Oggi forse abbiamo tutti bisogno di riscoprire un po’ di tenerezza, nel trattarci gli uni gli altri.

Tenerezza deriva dal verbo tendere: andare verso. Implica l’uscire dall’egoismo individuale per ascoltare il cuore che parla ad un altro cuore.

Tenerezza non è solo femminile; non va confusa con debolezza o sdolcinatezza.

È piuttosto il guardare gli altri senza giudicarli, il tendere la mano, fare una carezza: insomma è una virtù dei forti, di chi sceglie di vivere pienamente.

Alla ricerca della tenerezza perduta: in famiglia, a scuola, nelle nostre comunità.

La tenerezza è un po’ la grande assente oggi della società civile.

Occorre il recupero dell’incontro, della dimensione di un sentire condiviso.

Allora sì, la tenerezza spunterebbe ovunque.

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Sabato 30 marzo il gruppo dei fidanzati ha accolto la proposta di don Fabio e delle coppie guida e ha fatto visita al monastero delle monache benedettine di clausura sull’Isola di Orta San Giulio. La testimonianza di sr. Chiara Maria ha colpito molti.

Ecco alcuni spunti raccolti dai fidanzati che hanno partecipato.

“Siamo venuti per verificare se la comunione tra noi è possibile e…sì, Sr. Chiara ce lo dimostra; è possibile, dentro alle fatiche e alle gioie, solo se c’è un Altro che ci tiene assieme.”

E ci ricorda che “gli uomini non riusciranno mai ad amarsi se non restano nell’amore di Dio. Un Dio che ci vuole così bene che, nel farci incontrare un tu con cui condividere la vita, ci dà un tu proprio giusto per noi, come un vestito che non solo è della taglia giusta, ma ha il colore della sfumatura più appropriata”

Valeria ammette di portarsi a casa dalla gita tre parole:

  • la parola dono; Sr. Chiara Maria ci mostra con la sua vita cosa vuol dire donare …e donare veramente. Lei c’è per tutti. La sua preghiera nella clausura è per poter abbracciare l’intera umanità, iniettando, come in un sistema di vasi comunicanti che ci collega tutti, così tanto amore e fiducia a innalzare il livello di amore e fiducia nei cuori dei vasi vicini.
  • la parola fiducia: fidarsi di Dio, del suo disegno buono, ci fa essere migliori, ci fa camminare nella luce.
  • la parola gratitudine, anzitutto verso Sr. Chiara Maria, per la gioia e la serenità che ci ha trasmesso. Tempo fa, ad un incontro, qualcuno, provocatoriamente, le chiese se non si sentisse in gabbia, dietro le grate della clausura e lei, pronta, rispose “Con quelle facce tristi, gli animali in gabbia mi sembrate voi”. Ecco, quanta serenità vive nel cuore per poter essere così solare, per rispondere così.

Davvero tanta gioia ci ha portato nel cuore questa giornata !! Ben più di quanto è in grado di fare tutto quel che abbiamo nella nostra quotidianità.

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Domani, 3 ottobre e fino al 28, si apre a Roma il Sinodo dei giovani. Per riflettere un po’ proponiamo un articolo, pubblicato nel cuore dell’estate (22 agosto 2018) su Avvenire, a firma di Elena Marta, professore ordinario di Psicologia sociale e di Comunità della Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica. Forse alcuni l’avranno perso. È l’occasione per interrogarsi a partire dal titolo:

L’affettività dei giovani è senza un progetto?

La formazione e lo sviluppo di una relazione di coppia rappresenta uno dei principali compiti evolutivi dei giovani ed è considerato un importante marcatore del passaggio alla vita adulta.

È sotto gli occhi di tutti come i cambiamenti sociali e antropologici in atto nella nostra società – proiezione sul presente, assenza di modelli di riferimento, diffusione di doppia moralità, rinuncia all’assunzione di responsabilità e sfiducia nei confronti dell’altro – rendano difficile, per i Millennials, costruire una relazione di coppia stabile. Tutte le ricerche psico-sociali su questo tema confermano che questa generazione è caratterizzata da instabilità relazionale, posticipazione del matrimonio e difficoltà a impegnarsi in un legame affettivo.

Tre possono essere le ragioni di questo modo di vivere la sfera affettivo-sentimentale.

1. La prima è la persistenza del ‘paradigma della sperimentazione’, ossia la convinzione di potere – che però è diventato quasi paradossalmente un dovere – conservare un ampio margine di reversibilità nella costruzione della propria biografia prima di giungere alla stabilità. Questo continuo sperimentare è determinato non solo dal desiderio di esser certi di aver scelto il/la partner ‘giusto/a’, ma soprattutto da un orientamento valoriale improntato all’autorealizzazione: come gli altri ambiti della vita – ad es. il lavoro – anche la relazione di coppia è posta al servizio della ricerca di uno spazio di espansione e conferma del sé personale a discapito del sé sociale e delle relazioni. In nome di questo, si ‘saggiano’ diverse relazioni finché non si trova quella che può sostenere la propria auto-realizzazione e il ripiegamento narcisistico, o finché non ci si apre a un incontro autentico con l’altro e a una relazione fatta di cura reciproca, lealtà, impegno. Il contesto culturale in cui viviamo, enfatizzando il diritto dell’individuo alla realizzazione dei suoi bisogni e valorizzando la contingenza del legame, rende difficile per i giovani articolare le esigenze del sé con quelle della coppia.

2. La seconda ragione è legata al modo con cui i giovani oggi affrontano la vita: l’importante è ‘fare esperienze’. Tante, emotivamente molto coinvolgenti e da rendere visibili immediatamente sui social. Anche la relazione di coppia non sfugge a questa logica e diviene il luogo della ricerca di ‘emozioni forti’, volte a confermare l’immagine di sé costruita nel processo di auto-realizzazione. Se la relazione di coppia incrina questa immagine, se richiede troppo impegno, troppa fatica e responsabilità, se non è funzionale al gioco narcisistico dei partner, viene abbandonata e sciolta. Focalizzato/a sulla propria autorealizzazione, nella relazione di coppia ciascun partner tende a chiedere molto all’altro/a, soprattutto in termini di intensità emotiva e condivisione del proprio progetto di vita, ma è poco propenso a costruire pazientemente un ‘noi’ e un progetto comune. Si creano, così, legami fragili, investiti da elevate aspettative – e sappiamo che quando le aspettative sono elevate sono più facilmente soggette a delusioni – e centrati sugli aspetti affettivo-espressivi a scapito di quelli etici, centrati sull’impegno e la lealtà.

3. Infine, la relazione di coppia viene vissuta come un fatto privato, personale, svincolato da appartenenze e significati sociali e familiari. Essa è divenuta sempre più autoreferenziale e sganciata da vincoli istituzionali, da patti sociali e da storie familiari intergenerazionali.

Tutto questo ha delle conseguenze evidenti su cui è avviare una seria riflessione. L’importanza attribuita alla ricerca di emozioni forti e alla soddisfazione dei propri bisogni narcisistici ha come esito la presenza, anche in Italia, di alcune pratiche sorte e diffusesi nei Paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti.

Mi riferisco a quelle che la letteratura scientifica ha classificato come ‘relazioni ed esperienze sessuali casuali’, ossia un vasto insieme di comportamenti ed esperienze sessuali che non prevedono necessariamente l’instaurarsi di legami sentimentali o di impegno nella relazione. Rientrano in questa classificazione i fenomeni dell’hooking up, letteralmente ‘aggancio’, e dell’one-night stand , ossia rapporti di una sola notte, che consistono nell’avere rapporti sessuali senza stabilire alcuna forma di relazione sentimentale, ma anche il fenomeno definito friends with benefits, che fa riferimento allo svilupparsi di rapporti amicali che prevedono anche occasionali rapporti sessuali, senza l’instaurarsi di legami sentimentali.

Le ricerche dei colleghi americani su questi temi mettono in evidenza come i giovani coinvolti in queste esperienze sperimentino, da una parte, sensazioni di piacevolezza ed eccitazione accompagnate da aumento di autostima ma, dall’altra parte, anche sentimenti di vergogna, senso di colpa, sensazione di essere usati e ansia.

In una recente e accurata review sul tema, Lanz e colleghi hanno mostrato quanto il panorama delle relazioni affettive dei giovani sia complesso e composito. Se da una parte vi sono giovani che vivono le esperienze casuali su cui ci siamo soffermati poco fa, dall’altra parte vi sono giovani che danno vita a relazioni significative. Tuttavia, dar vita a una relazione ‘impegnata’, ossia con coinvolgimento sentimentale e duratura nel tempo, risulta oggi essere l’ultimo passo verso la condizione adulta, dopo l’acquisizione di un lavoro e di uno spazio nel contesto sociale. Inoltre, rispetto al passato, si assiste oggi anche a un modo diverso di intendere la convivenza. Infatti, fino a qualche anno fa la convivenza era considerata una fase che precedeva il matrimonio, una sorta di prova generale che anticipava la realizzazione del rito del matrimonio, fosse esso religioso o civile. Oggi, invece, sebbene non in tutti i casi, la convivenza viene spesso avviata senza un progetto matrimoniale, senza un trasloco con tutte le proprietà ma come un’esperienza che si snoda nel tempo in maniera quasi casuale, legata al fatto che poco per volta i propri effetti personali vengono spostati nella casa del/la partner, ove si finisce con il passare più notti e giorni che a casa propria e stabilendosi definitivamente: diventa quasi una scelta inerziale che, priva di una progettualità, viene mantenuta finché non si presentano opportunità emotivamente più attivanti.

Sempre importato dal Nord Europa e dagli Stati Uniti, si sta diffondendo anche il fenomeno delle stay over relationships, letteralmente le ‘relazioni pernottamento’, caratterizzate dal fatto che i partner di una relazione pernottano insieme tre o più notti alla settimana, pur continuando a vivere in due case separate.

Le forme di relazione sinora presentate – va ribadito – non esauriscono la realtà: ci sono ancora giovani impegnati in relazioni affettive orientate alla progettualità del matrimonio. Resta, però, il fatto che queste forme relazionali ci dicono della situazione complessa e del disorientamento che vivono i giovani.

Ci dicono dell’inquietudine che vive questa generazione tra paura della solitudine e paura dell’incontro autentico con un’altra persona, tra paura di restare solo/a e paura che vengano svelate le proprie fragilità.

Tutto questo interroga la generazione adulta sulla sua capacità di offrire una bussola di orientamento capace di valorizzare i legami, rendere evidente il valore e il piacere della costruzione di un ‘noi’ nonché affermare la sacralità e il valore del corpo proprio e altrui.

Ma dovrebbe anche sollecitare la generazione adulta nel comprendere e accogliere i timori che sperimentano i Millennials e nel rendere visibile e concreta la bellezza e la forza di una relazione di coppia capace di rispondere ai bisogni più profondi dell’umano.

 

Continua a leggereSinodo dei giovani: cosa importa al loro cuore?

Papa Francesco nella veglia con i giovani dello scorso 11 agosto affronta anche il tema dell’amore.

“È pericoloso parlare ai giovani dell’amore?”, si chiede.

“No, non è pericoloso, perché i giovani sanno ben quando c’è l’amore e quando c’è il semplice entusiasmo truccato da amore.

L’amore non è una professione. L’amore è la vita.

Se l’amore viene oggi, perché devo aspettare 3, 4 o 5 anni di finire l’università, per farlo crescere, per farlo stabile? Per questo io chiedo ai genitori di aiutare i giovani a maturare.

Quando c’è l’amore, che l’amore maturi, non spostarlo sempre più avanti.”

(…)

“Nella vita sempre prima l’amore, ma l’amore vero, e lì dovete imparare a discernere quando c’è l’amore vero e quando c’è l’entusiasmo solo.

L’amore non tollera mezze misure. O tutto o niente. E l’amore, per farlo crescere, non vuole scappatoie: l’amore deve essere sincero, aperto, coraggioso. E nell’amore tu devi mettere tutta la carne sulla grigliata, così diciamo noi in Argentina”.

 

Continua a leggereMaturare l’amore: tutta la carne sulla grigliata

Ecco la testimonianza di Tommaso:

“Il mio giorno è bello perché amo. L’amore non è una bella emozione, ma è
disciplina.

L’amore è paziente, non scappa di fronte alle difficoltà ma le
affronta.

L’amore è benigno, non ha sempre la pietra pronta per essere
scagliata; non si vanta l’amore, non cerca il proprio benessere, ma prepara
la strada alla relazione.
Non si compiace del proprio egoismo, l’amore, perché ama la verità.”

 

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Chi non vuol diventare grande?

Don Fabio ci lancia una sfida: Quaresima come tempo per diventare grandi. Sentiamo:

La Quaresima come tempo donato, tempo di cambiamento, di rinnovamento giornaliero.

C’è qualcosa, però, che si oppone a questo cambiamento: il demonio ci tenta, suggerendo cose non sbagliate in sé. Ci porta a quei bisogni che sono istintivi, normali, ma sganciati da un Orizzonte più grande. Infatti la tentazione si costruisce sul giudizio, che mette prima l’istinto legato ad un bisogno, lo accontenta, lo giustifica.

La Quaresima ci chiama ad amare l’istante mettendolo in un tempo che è tempo di Dio, il tempo più Grande; ci chiama a porre le piccole cose nel grande Orizzonte che è lo sguardo di Cristo. Il piccolo nel Grande.
Il Suo sguardo si chiama amore e l’amore implica un sacrificio, parola nobile che deriva dal latino sacrum e facere, rendere sacra una cosa.

La Quaresima è la possibilità che l’Amore, con la A maiuscola, possa entrare nella nostra carne e allora i nostri occhi diventano i Suoi occhi, le nostre mani le Sue mani, i nostri piedi i Suoi piedi, il nostro sguardo il Suo sguardo.

Così la dimensione Grande di Dio entra nella fragilità e piccolezza umana e, grazie a questo tempo, ognuno di noi può diventare parte di quella Grandezza.

L’immagine di questo post è l’opera “Covone di spighe” di Maurizio Bottoni, visto per voi alla mostra che si è chiusa di recente a Milano. Avremo modo di parlarvi di questo artista straordinario.

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È tempo di San Valentino.

Cosa vuol dire coltivare l’esperienza del dono di una relazione?

Vuol dire prestare credito (fede)

alla meraviglia dell’inizio (innamoramento),

perché diventi vera nel cammino disteso di una fedeltà (l’amore).

Continua a leggereAmore a San Valentino

Tanti i biglietti e i messaggi di auguri che ciascuno di voi avrà ricevuto in questi giorni.

Un amico, sapendo la nostra preferenza per la poesia, capace di esprimere, più di altre forme d’arte, alcuni concetti, mi manda questo scritto di Pier Paolo Pasolini:

“Solo l’amare, solo il conoscere conta,

non l’aver amato, non l’aver conosciuto.

Dà angoscia il vivere di un consumato amore. L’anima non cresce più.”

Amore declinato al presente, non in un passato, che non è più, neppure in un futuro, sempre rimandato.

Cominciamo ad amare ora, subito. All’infuori di questo tutto è triste, tutto è buio.

Come ricordava don Fabio nell’omelia di Natale, la Luce è entrata nel mondo, la Luce arriva, si fa spazio tra le tenebre. E noi abbiamo la rotta da seguire.

Continua a leggereSolo l’amare conta